LA CUCINA DEGLI SCARTI

Ho avuto “la meravigliosa idea” di partecipare ad una cena a impatto zero o a base di scarti vegetali. Molto stuzzicante dal punto di vista filosofico quello di utilizzare in cucina le parti degli alimenti che siamo abituati ad eliminare!

Così, nonostante fossi perfettamente consapevole della differenza tra fibre solubili e insolubili, di non avere né il rumine/la flora/la microfauna/le muffe di un erbivoro, ho mangiato una zuppa di baccelli di piselli (che mi ha fatto venire in mente la famosa zuppa di porri blu di Bridget Jones), mousse cruda di gambi di asparagi, chips di barba di porro, cake di buccia di zucca con marmellata di buccia di mela e di pera. Sono stata malissimo ovviamente, non essendo equipaggiata per digerire cellulosa e pectina. Male come quella volta che rapita dalla bellezza dei colli umbri, dove ho abitato per un periodo della mia vita, e dall’atmosfera bucolica in cui mi trovavo ho comprato da un contadino degli antichi legumi rotondi neri, una via di mezzo tra roveja e cece nero che nemmeno dopo 48 ore di ammollo in acqua tiepida a pH controllato per eliminare ossalati e fitati, avevano cominciato ad ammorbidirsi. Ennesimo ammollo in alga kombu e cottura con la stessa per molte ore non avevano cambiato nulla.

Mi sono convinta che se alcune varietà sono andate in estinzione o sono diventate scarti c’è un motivo che non è unicamente legato alle logiche commerciali delle multinazionali che tendono ad ibridare e far produrre solo ciò che conviene o che non è salutare.

Ricordo che una conoscente di mia nonna non dava direttamente la crusca ai maiali perché sapeva che sarebbero stati male quindi la buttava in un secchio e la faceva fermentare per renderla più digeribile prima di fargliela assumere, invece noi dovremmo mangiare all-bran o weetabix a colazione. E’ dalla notte dei tempi che in tutto il mondo gli alimenti vegetali più impegnativi vengono fermentati (pensiamo alla soia in Asia) o ammollati in condizioni ottimali per essere resi più digeribili e tutto ad un tratto in nome dell’ecologia veniamo spinti a sentirci migliori se ci nutriamo di scarti.

Forse dovremmo recuperare non gli scarti, ma gli antichi saperi!

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